….L’alpinista è un uomo che conduce il proprio corpo là dove un giorno i suoi occhi hanno guardato….
…..Gaston Rèbuffat, Il massiccio del Monte Bianco….
Posare lo sguardo, sognare, immaginare, pianificare , preparsi, aspettare , ed infine realizzare.
Ritengo sia questa l’essenza di una realizzazione alpinistica, il tradurre autonomamente in azioni concrete ciò che si è sognato, il trovare in autonomia le modalità fisiche e tecniche per rendere vero quello che si è immaginato, il tutto al cospetto di un ambiente straordinario, che richiede rispetto e impone di entrare costantemente in simbiosi con il suo delicato equilibrio.
La realizzazione alpinistica assume perciò un carattere estremamente intimista, diventa un mondo parallelo e rischioso che l’alpinista volontariamente ricerca e accetta, un mondo dove la scala dei valori muta e spesso si inverte, dove conta il saper fare, dove la via diventa un viaggio dentro se stessi, dove la difficoltà diventa un banco di prova per conoscere i propri limiti, dove la corda è il mezzo con cui vincoliamo la nostra vita a quella di un’altra anima che respira la nostra stessa aria.
La preparazione atletica che costantemente alleniamo e la preparazione tecnica che con ossessione a volte esercitiamo, non rappresentano il fine, bensi i mezzi per arrivare là, dove un giorno i nostri occhi hanno guardato, sulla vetta dove la nostra fantasia ha volato, al di là di qualunque prestigio o difficoltà tecnica, vivendo intensamente un’avventura in perfetta armonia con un ambiente naturale grandioso e con la persona con cui abbiamo pianificato di rendere vivo questo sogno.
Ritengo che in un mondo come quello attuale, basato sulla velocità , sulla competizione, sulla perfomance, sui numeri, sull’abbattimento delle barriere naturali del tempo e dello spazio, dove si corre in modo tanto veloce quanto confuso, sia necessario fermarsi e guardare direttamente con i nostri occhi senza ulteriori filtri.
Se lasciamo che la Montagna venga invasa da queste correnti di pensiero , se non ci opponiamo alla tendenza secondo la quale la pura performance atletica superi il fascino dell’ambiente, se non coltiviamo l’idea di un’etica alpinistica lontana dalla pura attività ludico-motoria, corriamo il rischio che si dia inizio ad un alpinismo sempre più distante dalla Montagna e sempre più vicino alla società del consumo dalla quale tanto si desidera fuggire.
Credo che una Scuola di Alpinismo, in quanto composta da persone che volontariamente hanno deciso di mettere gratuitamente a disposizione di chiunque le proprie competenze, la propria esperienza e la propria passione, sia il luogo più fertile dove continuare a coltivare un concetto di Alpinismo lontano da logiche che vedono la Montagna come palestra a cielo aperto finalizzata a saziare mere velleità fisiche e/o economiche.
Difendere e trasmettere l’Alpinismo così come ci è stato consegnato, questa è a mio avviso la grande sfida che ci attende per il futuro.
E’ con queste premesse che inizia per me il mandato di Direttore della Scuola, ed inizia per la Scuola stessa una nuova stagione.
Di fronte abbiamo una situazione non facile. L’emergenza sanitaria impone misure restrittive anche nella conduzione dei corsi, come del resto in tutte le forme di associazionismo.
L’osservanza di rigidi protocolli si rende necessaria affinchè anche l’andar per monti non diventi veicolo per la trasmissione del virus.
Tuttavia la Scuola ha lavorato, e sta tuttora lavorando, in modo da arrivare preparati per l’inizio della nuova stagione, forte anche di nuove leve, ragazzi che hanno deciso di intraprendere il percorso che forse un giorno, me lo auguro, li porterà a diventare istruttori, rendendo così possibile la continuazione di uno spirito che è ormai diventato tanto prezioso quanto raro.
Roberto Pana